Marketing internazionale e Product Perception: come evitare il flop in un nuovo mercato

Nel marketing le percezioni sono più importanti della realtà, perché influenzano il comportamento d’acquisto dei consumatori. Persone diverse possono avere percezioni diverse dello stesso oggetto. Philip Kotler

Si sa, nella vita come nel lavoro “ogni scarrafone è bello ‘a mamma soja” e quando si ha un prodotto che funziona, le vendite cominciano a salire e il futuro sembra roseo, è facile lasciarsi prendere dall’entusiasmo e gettarsi a capofitto in nuovi mercati, sicuri che il proprio prodotto otterrà lo stesso successo.

Tuttavia, in un nuovo contesto commerciale, la fedeltà dimostrata dai consumatori e la popolarità acquisita nel mercato domestico hanno ben poca importanza di fronte a una platea che ancora non ci conosce.

Gran parte del successo di un prodotto si basa, infatti, sulla percezione del suo valore da parte del pubblico. E, quando un brand non si impegna a modellare la propria offerta in base alle preferenze locali, le chance di successo si riducono drasticamente.

L’internazionalizzazione, se fatta bene, è un processo lungo e complesso, che richiede una profonda analisi e conoscenza del mercato di destinazione e delle abitudini dei suoi consumatori. Altrimenti, come scopriremo nei prossimi paragrafi, la gaffe è sempre dietro l’angolo.

SOMMARIO
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Marketing internazionale: perché è importante?

Una volta individuato il mercato di destinazione per il tuo prodotto basterà tradurre il sito in inglese, lanciare una campagna pubblicitaria e aspettare che le vendite arrivino a frotte, giusto? Spoiler: NO. Purtroppo, anche se aumentare i punti d’incontro con i tuoi nuovi consumatori è un primo passo, questo non è sufficiente a trasmettere il valore del tuo brand in un altro paese e in un’altra cultura.

Il marketing internazionale consiste nell’analisi delle abitudini del pubblico estero che il tuo brand è interessato a raggiungere e coinvolge lo studio degli aspetti linguistici, delle strategie di comunicazione, dei segmenti di popolazione e degli aspetti culturali da tenere in considerazione.

Investire tempo e risorse nella formulazione di una strategia vincente fin dall’inizio è una scelta vantaggiosa per risparmiare potenziali fatiche e delusioni future, assicurandosi che il prodotto sia in linea con le esigenze del mercato e che il pubblico estero colga l’unicità e il valore del brand.

Ma non bastava il marchio Made in Italy?

Certo, il Made in Italy è sinonimo di qualità e prestigio in qualsiasi parte del mondo, ma appiccicare un tricolore sulla scatola del tuo prodotto non è una strategia capace di garantire al tuo business risultati duraturi nel tempo.

Nei prossimi paragrafi scopriremo insieme alcuni degli aspetti da non sottovalutare per far breccia nei cuori dei consumatori di un altro paese, conditi da qualche esempio relativo ai flop internazionali di alcuni dei marchi più noti…perché sì, quando si parla di internazionalizzazione, anche i migliori sbagliano!

Localizzazione e adattamento culturale AKA parla come mangia il tuo pubblico

我们的产品是世界上最好的! Che dici, ti abbiamo convinto a comprare? No? Forse è perché non abbiamo parlato nella tua lingua!

Secondo i dati della ricerca “Can’t read, Won’t buy” (Se non leggo, non compro) di CSA Research, condotta su un campione di oltre 8500 utenti madrelingua non inglese, il 40% dei consumatori non acquista da siti in una lingua diversa dalla propria, il 56% dichiara di non visitare siti in altre lingue e il 75% esige che le informazioni sui prodotti siano riportate anche nella propria lingua, prima di procedere all’acquisto.

La localizzazione, ovvero l’adattamento linguistico-culturale del proprio prodotto, è senza dubbio il primo fondamentale passo per entrare nel cuore e nelle menti dei consumatori internazionali.

Vabbè co Google Traduttore ce metto n’attimo, no?

Aridaje…NO! Nonostante la qualità dei servizi di traduzione automatica sia migliorata notevolmente negli ultimi anni, localizzare il proprio servizio significa molto più che trasporre in maniera letterale i contenuti da una lingua A ad una lingua B e richiede l’assistenza di professionisti umani in grado di comprendere le sfumature linguistiche e adattare l’immagine dell’azienda a contesti culturali diversi.

Affidandosi a soluzioni automatiche senza supervisione umana, infatti, la presenza di grossolani errori relativi al contesto potrebbe risultare in vere e proprie figuracce a livello internazionale.

Lo sa bene Coca Cola che, durante le operazioni di naming per il suo ingresso sul mercato cinese, decise di traslitterare il suo brand name utilizzando caratteri cinesi casuali per semplice assonanza (Ke-Kou-Ke-Le). Il significato finale? “Mordi il girino di cera.” Una soluzione decisamente poco invitante e non apprezzata dai consumatori locali, che costrinse l’azienda a rivedere completamente la propria strategia in Cina.

Localizzare significa operare un attento studio della lingua, delle abitudini e delle strategie di comunicazione del Paese di destinazione. Una lezione che Coca Cola ha presto imparato a sue spese, diventando oggi uno dei brand più popolari al mondo grazie alla sua abilità di adattare i prodotti ai gusti e alle necessità del pubblico locale.

Abitudini e preferenze dei consumatori AKA Paese che vai, usanza che trovi

O meglio, “Paese che vai, percezione del prodotto che trovi”. Eh sì, perché un prodotto che funziona alla grande in un mercato, potrebbe rivelarsi un assoluto flop in un altro. Per questo motivo, dopo aver superato la barriera linguistica, uno degli aspetti cruciali è riuscire a instaurare un rapporto di fiducia con la platea internazionale che ancora non conosce il nostro prodotto.

Come? Imparando a conoscere e a comprendere le sue esigenze!

Ragionando secondo le nostre abitudini, specialmente in contesti eurocentrici, è facile lasciarsi sfuggire alcuni aspetti e darne per scontati altri. Come è successo al colosso americano General Mills che, forte della popolarità dei suoi preparati per dolci in tutta Europa, decise di sbarcare in Giappone con i suoi prodotti, salvo poi rendersi conto nel Paese del Sol Levante quasi nessuno possiede un forno!

Svolgere un’approfondita analisi del mercato di destinazione è uno step fondamentale che deve coinvolgere tutti gli aspetti del customer journey, a partire dai gusti e dalle necessità dei consumatori, fino alle modalità di acquisto preferite.

Eh sì, perché il prodotto in sé non è l’unico aspetto a fare la differenza. Come ci insegna il caso Sephora, proporre un prodotto già riconosciuto e di qualità non è sufficiente, se non si presta attenzione alle abitudini del cliente.

A partire dal 2010 circa il famoso brand di cosmetica ha chiuso i battenti di tutti i suoi negozi in Giappone. Le ragioni di questo flop? Il mancato adattamento del proprio

business model al mercato asiatico. Nonostante la popolarità del marchio, infatti, l’azienda non è riuscita a far breccia nel cuore dei consumatori per due motivi, entrambi legati al contesto culturale locale: In primo luogo, l’esperienza self-service in negozio, per nulla apprezzata dai giapponesi, abituati a essere sempre seguiti nella scelta dei prodotti. E poi, soprattutto, la tendenza del marchio a promuoversi come profumeria, in un Paese dove usare fragranze forti è considerato da…beh… da poco di buono, diciamo così.

Competizione locale AKA Welcome to the Jungle

Entrare in un nuovo mercato è un po’ come infilarsi in una giungla. Barriere d’entrata, difficoltà di comunicazione, un pubblico che non ci conosce, competitor agguerriti dietro ogni angolo…ma non c’è da spaventarsi perché, se c’è una cosa che la nostra epoca ci ha insegnato, è che i confini geografici sono sempre più labili e ottenere un buon posizionamento all’estero, anche per una PMI, non è più un’impresa impossibile.

Tuttavia, nonostante gli aspetti logistici e burocratici appaiano via via più semplici da gestire, è importante ricordare che l’ingresso in un nuovo mercato deve essere sempre ponderato con attenzione.

Uno dei primi passi? Svolgere un’attenta e accurata analisi dei competitor.

Analizzare la concorrenza in un mercato estero significa individuare i competitor già presenti nel paese e il loro peso sul mercato, approfondire le caratteristiche della loro offerta e, infine, individuare una nicchia di mercato scoperta che possa rivelarsi interessante per il nostro prodotto.

E se la nicchia non c’è?

Questo può capitare, e nel caso in cui il mercato sia già saturo o non disposto ad accogliere i nostri prodotti non ci rimane che orientare il nostro sguardo verso altri orizzonti e ricordare le sagge parole di nonna: “Tesò, non disperare. Il mare è pieno di pesci!”

D’altronde anche capire quando lasciar stare è segno di grande saggezza. Ne è un ottimo esempio Pizza Hut, catena americana famosa per aver portato la pizza americana in tutto il mondo e che, nonostante gli oltre 12.000 ristoranti in 100 paesi, ha deciso di non mettere mai piede in Italia. Perché? Beh, domandati, tu la assaggeresti?

Nonostante il sospetto che qualche pizza Hawaii con l’ananas sarebbe andata venduta lo stesso, infatti, Pizza Hut ha saggiamente mantenuto le distanze dalla vera patria della pizza, facendo addirittura autoironia sulla scarsa qualità dei prodotti per il palato italiano. In un simpatico spot del 2014, infatti, si vedono alcuni anziani di Sorrento assaggiare sospettosi uno spicchio mentre lo spot recita: “I partecipanti sono stati pagati, ma la pizza non gli è piaciuta lo stesso!”

Geolocalizzazione e stagionalità del prodotto AKA il mondo è bello perché è vario

Ultimo, ma non per importanza, l’aspetto della geolocalizzazione e della stagionalità è prevalentemente legato agli aspetti logistici e funzionali del prodotto. I prodotti che in un mercato funzionano in un certo modo, infatti, possono avere cicli di vita e modalità d’uso diversi in altre parti del mondo, a seconda del clima, delle festività e delle usanze locali.

Questa variabilità, se gestita saggiamente, può rivelarsi estremamente vantaggiosa per le imprese, consentendo loro di capitalizzare su stagionalità o tendenze diverse rispetto a quelle del mercato domestico.

Un esempio? Il caso di Loison, azienda artigianale di Vicenza specializzata nella produzione di dolci natalizi e pasquali. Grazie alla geniale intuizione dei proprietari, il brand è riuscito a slegarsi totalmente dalle tradizioni festive domestiche, promuovendo i prodotti all’estero come Italian cakes adatte a tutte le stagioni e riuscendo a lavorare a pieno regime per 365 giorni l’anno.

Adattare un prodotto originariamente concepito per scopi completamente diversi al mercato globale rappresenta una sfida complessa, ma può portare a risultati straordinari. Tuttavia, richiede una profonda comprensione delle dinamiche di mercato, delle preferenze dei consumatori internazionali e delle opportunità offerte dalla geolocalizzazione. Con una strategia ben pianificata e l’abilità di cogliere i cambiamenti nella stagionalità e nelle tendenze, le aziende possono raggiungere il successo in mercati internazionali in modi inaspettati.

Ce lo insegna anche Ugg, marchio australiano di calzature specializzato, pensate un po’, nella fabbricazione di stivaletti pelosi per tenere al caldo i piedi dei surfisti e diventato oggi uno dei brand di calzature di lusso più famoso e apprezzato a livello mondiale.

Insomma, gli esempi di marketing internazionale più o meno riusciti sono infiniti. In questo articolo ne abbiamo elencati solo alcuni, ma stay tuned per scoprire altri divertenti aneddoti nelle prossime puntate!

In conclusione, la percezione del prodotto nei mercati internazionali è un elemento chiave per il successo di un brand all’estero. Cogliere l’importanza della localizzazione, studiare le preferenze e il comportamento dei consumatori, analizzare la concorrenza locale e sfruttare la stagionalità del prodotto sono tutti aspetti fondamentali per creare una strategia di marketing efficace a livello globale.
Per fare questo, ed evitare sfortunate gaffe internazionali, è importante investire tempo ed energie nell’analisi della migliore strategia di ingresso nel mercato di riferimento.
Ma per navigare mari sconosciuti non basta solo la giusta mappa, servono anche marinai esperti!
Amministrazione
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